Forza e debolezza del governo Meloni nei primi 100 giorni- Corriere.it

Forza e debolezza del governo Meloni nei primi 100 giorni- Corriere.it

Author: Roberto Gressi
Data : 2023-01-29 13:43:03
Dominio: www.corriere.it
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di Roberto Gressi

Per l’esecutivo esordio senza scossoni sui mercati o per lo spread. Tensioni contenute con la Ue. Ma fibrillazioni interne e dietrofront minano il cammino delle riforme

Dai, che l’esame di maturit, quello che arriva alla fine dei Cento giorni, dopo la pi breve delle sbornie elettorali del passato recente, stato, tutto sommato, superato. Nessun terremoto nei mercati, spread nei limiti, la Borsa italiana che va meglio di altre volte, un po’ debole il rapporto con l’Europa, che per si presenta spesso arcigna ma non nemica, le alleanze internazionali che reggono anche alla prova dell’Ucraina, con un posto dignitoso al tavolo dell’Occidente. La paura e la speranza che Giorgia Meloni sapesse cavarsela solo nell’orto di dimora di Fratelli d’Italia e dell’opposizione, si sono rivelate perlomeno eccessive. Una buona tenuta con gli alleati riottosi, fin dalla formazione del governo, un aiuto dagli avversari divisi. Ma anche qui con una doppia, possibile, lettura. Da una parte il cupio dissolvi dei partiti d’opposizione, pi impegnati a battagliare tra di loro piuttosto che a costruire un’alternativa. Dall’altra, l’evolversi di una democrazia normale, anomala per l’Italia, dove le differenze all’interno di uno stesso schieramento, almeno teorico, prevalgono sull’alleanza contro il nemico comune.

I conti pubblici

La sufficienza sulla legge Finanziaria, tenuto conto del poco tempo a disposizione per metterla in piedi, con pochi soldi a disposizione e i prezzi dell’energia alle stelle. Il contante a cinquemila euro, una marcia indietro sul Pos a sessanta euro dopo il naso arricciato di Bruxelles, una battaglia scomposta con Emmanuel Macron sui migranti, che ha rivelato come la strada ardua delle intese possa essere pi produttiva di una spallata, una sfida con le navi delle Ong per ora pi identitaria che fattuale. Il rospo da ingoiare sull’approvazione del Mes, del quale comunque non si far uso, con la Lega intenzionata a fare le barricate. Un capitombolo iniziale sulla norma contro i rave party, che aveva connotazioni liberticide, poi corretta in corso d’opera. Un buon rapporto con Mario Draghi, che ha consentito un passaggio di consegne relativamente poco traumatico sul Pnrr, anche se non mancano le incognite sulla capacit di utilizzare al meglio i fondi europei. Una ferita sul ritorno prepotente delle accise, ma almeno in parte reso inevitabile dallo stato dei conti pubblici. Il malumore al momento di fare il pieno non manca, ma la minirivolta dei benzinai stata ben lontana dall’effetto Forconi, con Forza Italia in buona parte delusa nel tentativo di cavalcare il malcontento. La luna di miele con l’elettorato, magari un po’ in via di rallentamento, ma con Fratelli d’Italia che naviga nei sondaggi intorno al trenta percento.

L’appuntamento ormai prossimo con le elezioni regionali, che, a scanso di sorprese improbabili, porter il centrodestra a confermare la supremazia in Lombardia e a strappare il Lazio al Pd. Un avvio a ostacoli sull’ennesimo tentativo di riformare la Giustizia, con Giorgia Meloni che un po’ loda e un po’ frena il suo ministro Carlo Nordio, perch non vuole scontri con la magistratura. E non li vuole per non rovinare il clima dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, ma anche perch sa che finch c’ confusione non si conclude mai niente. E poi il Covid che pare aver deciso di offrire una tregua, stemperando di fatto le polemiche sul reintegro dei medici no vax e sulla cancellazione delle multe a chi non si vaccinato.

Le improvvisazioni

Croce e delizia della fase due che sta per aprirsi il Melonicentrismo. Parte robusta della tenuta del governo pesa sulle spalle di Giorgia, le continue ingenuit della squadra che la costringono a esercitare un controllo continuo, che le fa sperperare energie. Non soddisfatta, la premier, dell’immagine che si catapulta all’esterno, figlia spesso di improvvisazioni. Si spazia dal ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, che si fa tradire dalle parole e propone l’umiliazione per mettere in riga gli studenti bulli, al ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, che presta il fianco alle polemiche mettendo Dante tra i fondatori del pensiero della destra. Il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, che scivola sull’inglese, peraltro confermando una consolidata tradizione italiana, sia a destra che a sinistra. La ministra dell’Universit, Anna Maria Bernini, che aveva esordito al Giuramento con un video sulle note di T’appartengo di Ambra Angioini. Ma probabilmente la presidente del Consiglio vorrebbe pi sobriet anche dagli amici della prima ora, come il presidente del Senato Ignazio La Russa e il ministro della Difesa Guido Crosetto. Il primo si esposto con una celebrazione del Msi, che non piaciuta alla Comunit ebraica, il secondo con un attacco diretto alla Bce. E spunta anche un po’ di fronda all’interno di FdI, con Fabio Rampelli deluso per non aver avuto la candidatura alla regione Lazio. Lui si sente ancora il mentore di Giorgia, mentre lei non ha alcuna intenzione di fare ancora la parte di Calimera, soprannome con cui era conosciuta tra i Gabbiani di Colle Oppio, di cui proprio Rampelli era il leader. Ma era il 1992, la premier era allora una ragazzina.

No al partito unico

Sul futuro della maggioranza e del governo pesa poi l’insofferenza degli alleati, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Di partito unico Giorgia Meloni non vuole sentir parlare e Lega e Forza Italia non hanno intenzione di stare a guardare, con Fratelli d’Italia che gli rosicchia ogni giorno la base elettorale. E con gli azzurri insidiati dall’Opa sfrontata di Carlo Calenda e Matteo Renzi. Anche le Regionali possono essere a doppio taglio, se sar la premier a fare l’asso pigliatutto. Le fibrillazioni potrebbero ripercuotersi anche sulle due riforme di sistema del programma di centrodestra: l’autonomia differenziata e il presidenzialismo. Sulla prima Salvini preme, ma Berlusconi non vuole che il Sud ci lasci le penne e Meloni attenta anche alle ragioni del centralismo. Sulla seconda, specie in mancanza di intese larghe, pesa l’eterna incognita del referendum, con un passato di vittime illustri.

29 gennaio 2023 (modifica il 29 gennaio 2023 | 10:25)

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